Notiziario di Sabato 26 Maggio 2007
E passiamo alla cronaca. Si è suicidato in carecere Salvatore Grassonelli, 63 anni, ex capo della cosca mafiosa di Porto Empedocle. L’uomo stava scontando l’ergastolo. Il suo nome è legato in qualche modo alle due stragi di Porto Empedocle. Vediamo.
Si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo. Il corpo di Salvatore Grassonelli, 63 anni, di Porto Empedocle, è stato rinvenuto nella sua cella del carcere di Secondigliano. Stava scontando la pena all'ergastolo che gli era stata inflitta dai giudici della Corte d'Assise di Agrigento. Era considerato affiliato alla "stidda" l'organizzazione che si contrapponeva a Cosa nostra. Sul suo conto numerosi omicidi e l’accusa di essere stato il mandante della strage del luglio del 90. Il suo nome è legato alla guerra di mafia che gli storici fanno cominciare una calda serata di domenica. E’ il 21 settembre 1986. A Porto Empedcole la gente passeggia lungo la via Roma o è seduta al bar a gustare bibite e gelati. Come Giuseppe Grassonelli, intento a prendere il fresco seduto al bar Albanese, assieme al figlio Gigi. All’improvviso un black out oscura la zona. Da alcune auto scendono dei killer e fanno fuoco all’impazzata. E’ la prima strage di Porto Empedocle. E’ l’inizio dell’offensiva di Cosa Nostra contro gli esponenti ribelli della Stidda. E’ l’avvio della guerra di mafia che insagunierà la provincia di Agrigento. Sei le persone uccise quella sera. A terra rimangono i corpi di Giuseppe Grassonelli, del figlio Gigi, di Giovanni Mallia, Salvatore Morreale, Alfonso Tuttolomondo e Filippo Gebbia. Quest’ultimo ha 30 anni. Quella sera passeggia avendo al braccio la fidanzata. I proiettili vaganti ed impazziti dei killer non gli danno scampo. Verrà riconosciuto vittima innocente della mafia. Quattro anni dopo, 4 luglio 1990: arriva la risposta dei Grassonelli. L’inferno esplode lungo la statale 115. Tre i morti ammazzati, tre i feriti. Per quella strage viene condannato all’ergastolo, perché ritenuto il mandante, proprio Salvatore Grassonelli. Durante il processo è protagonista di un simpatico siparietto con il presidente della Corte, Luigi Patronaggio. Collegato in videoconferenza il 25 aprile 2001 dal supercarcere di Ascoli Piceno, dove si trova rinchiuso, Grasonelli esordisce così: Presidente io sono ateo, non posso giurare. Patronaggio lo invita ad avvicinarsi al microfono ed a fornire le proprie generalità, ma il suo no è deciso. Il giudice allora gli spiega che con la nuova procedura penale ''il giuramento fatto innanzi ai tribunali italiani non è fatto a Dio, non ha carattere religioso. È al contrario una promessa nei confronti della società civile''. E così Grassonelli, rassicurato, inizia a rispondere alle domande senza dover ripetere la formula di rito. Oggi la tragica fine.