Notiziario di Venerdì 6 Giugno 2003

Avevano deciso di riunirsi, in una bella e calda domenica di luglio, per eleggere il capo di cosa nostra della provincia di Agrigento. Ed avevano scelto un casolare di Santa Margherita Belice, lontano da occhi e orecchie indiscreti. I partecipanti arrivarono tutti alla spicciolata, chi, addirittura, con autista al seguito. Un summit di mafia in piena regola, interrotto, però, dall’arrivo della polizia che aveva individuato, attraverso microspie, il luogo. E subito scattò il blitz: 18 arresti. Nella rete vecchie conoscenze, ma anche degli insospettabili, come un consigliere provinciale di Forza Italia, poi sospeso e un ex consigliere comunale di Burgio. Per gli inquirenti un duro colpo alla cupola agrigentina e al suo reggente, Maurizio Di Gati, latitante di Racalmuto, la cui nomina doveva essere ratificata proprio quella domenica. Un’operazione molto importante, commentò Pietro Grasso, perché, disse, ci dà il senso della forza e della mimetizzazione di Cosa nostra nelle province siciliane e la prova del coinvolgimento di persone incensurate e di professionisti insospettabili. E A distanza di poco meno di un anno dal blitz, la direzione distrettuale antimafia di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio di 18 persone, tutte coinvolte nell'operazione «Cupola». Ad essere colpite da quel provvedimento, in particolare furono le cosche di Bivona, Burgio, Casteltermini, Cianciana e Santa Elisabetta. Il processo è stato chiesto per Giuseppe Artale, Pietro Campo, Francesco e Salvatore La Sala di Santa Margherita di Belice, Diego Di Bella e Salvatore Di Gioia di Canicattì, Giuseppe Nobile e Fabio Vella di Favara, Andrea Montalbano e Ciro Tornatore di Cianciana, Giovanni Maniscalco e Nicolò Santoriggio di Burgio, Leo Sutera ed Antonino Maggio di Sambuca di Sicilia, Stefano Mangione di Raffadali, Raffaele Faldetta di Casteltermini, Stefano Fragapane di Santa Elisabetta, Alberto Provenzano di Sciacca. L'udienza preliminare, al tribunale di Palermo, è stata fissata per il 17 giugno prossimo. All'indagine ha collaborato anche la procura della repubblica di Sciacca diretta da Bernardo Petralia.

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