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Cronaca. Arrestate 46 persone.
Notiziario di Martedì 25 Gennaio 2005

In apertura la cronaca, con la maxi operazione antimafia coordinata dalle procure di Caltanissetta e Palermo che ha portato al fermo di una cinquantina di persone. Un blitz che ha fatto terra bruciato intorno al superlatitante Bernardo Provenzano. Due gli arresti operati in provincia di Agrigento e di una certa levatura. In manette sono finiti infatti i figli del defunto capomafia Antonio Ferro, Gioacchino e Roberto. Nell’inchiesta anche il progetto per uccidere il procuratore di Palermo, Pietro Grasso. E l’operazione antimafia ha provocato diverse reazioni politiche. I servizi.E’ ancora libero. Ma dalla notte scorsa la rete di favoreggiatori e fiancheggiatori, che da 40 anni garantisce la sua latitanza, ha subito un duro colpo. Attorno a lui, a Bernardo Provenzano, capo di Cosa Nostra, è sempre più terra bruciata. Una mazzata, l’ha definita il procuratore capo di Caltanissetta, Francesco Messineo, commentando l’operazione coordinata in tandem dalle DDA di Palermo e Caltanissetta ed eseguita nella notte dai Carabinieri del Ros e dal Servizio centrale operativo della Polizia di Stato che ha portato al fermo di 46 persone. Quattro le province coinvolte: Palermo, Caltanissetta, Ragusa ed Agrigento. E proprio nell’agrigentino Provenzano, a detta di qualche pentito, avrebbe trascorso buona parte della sua latitanza, sotto la protezione della famiglia mafiosa dei Ferro di Canicattì, che assieme ai Di Caro e ai Guarneri, tutte legate ai corleonesi, ha retto il comando di Cosa Nostra in provincia per decenni. E nell’operazione di oggi sono stati arrestati Gioacchino e Roberto Ferro, figli di Antonio Ferro, il capomafia storico dell’agrigentino. Proprio i Ferro, secondo gli inquirenti, si recavano periodicamente a Vittoria per incontrare Salvatore Martorana. Con il pretesto di parlare di affari più svariati, i Ferro avevano contatti con esponenti di primo piano delle famiglie di Casteldaccia e Baucina, in provincia di Palermo. Ogni incontro costituiva uno scambio di messaggi, di pizzini, destinati a Provenzano. Ai 46 indagati sono contestati i reati di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, detenzione di stupefacenti e di armi. Nell’inchiesta anche le segnalazioni fatte da polizia e carabinieri alla DDA di Palermo e a quella di Caltanissetta riguardante l'intercettazione di una conversazione, in cui due mafiosi parlano della possibilità di un attentato per uccidere il procuratore della Repubblica di Palermo, Pietro Grasso, che viene esplicitamente nominato nel colloquio. I due fanno riferimento anche alla quantità di esplosivo che sarebbe necessaria per l'azione. Dall'inchiesta, durata tre anni, emergono anche i nuovi vertici delle cosche: a capo c'è la famiglia di Villabate, retta da Nicola Mandalà, di 37 anni. Rilevante anche la figura di Francesco Pastoia, di 62 anni, di Belmonte Mezzagno, già condannato per associazione mafiosa, che avrebbe avuto stretti rapporti con il ricercato numero uno di Cosa Nostra, arrestato in Emilia. E’ stato scardinato il ministero delle poste e comunicazioni, ha commentato Pietro Grasso, procuratore capo di Palermo. Abbiamo ricostruito il circuito dei 'pizzini', ha proseguito, ma purtroppo non siamo arrivati alla fase finale, all' ultimo uomo, quello che avrebbe potuto condurci al destinatario.
 
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