Notiziario di Venerdì 27 Giugno 2003
Mafia, ma anche corruzione. Il presidente della regione Salvatore Cuffaro, raggiunto ieri da un avviso di garanzia per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, deve anche rispondere, assieme al deputato nazionale dell’Udc, del reato di corruzione per una presunta tangente pagata da un imprenditore per la realizzazione di un'opera pubblica. I fatti si riferiscono al periodo in cui Cuffaro era deputato regionale e Romano suo collaboratore. La somma di denaro venne versata ad entrambi, secondo l'accusa, per ''oliare'' alcuni meccanismi burocratici regionali. Insomma sembra aggravarsi la posizione di Cuffaro che martedì primo luglio vivrà forse la sua giornata più lunga. Alle 10, accompagnato dal suo legale, salirà le scale della Procura di Palermo per essere sentito dai magistrati della DDA, con in testa il procuratore Pietro Grasso e i sostituti Nino Di Matteo e Gaetano Paci. Dovrà difendersi dall’accusa, secondo quanto si legge nell’avviso di garanzia, di avere in più occasioni intrattenuto rapporti con soggetti appartenenti o comunque collegati a Cosa Nostra. Alle 17, invece, l’appuntamento all’Ars per riferire in aula sull’esito dell’interrogatorio e sulle sue decisioni. Al momento la parola “dimissione” è bandita. Ma tutto potrebbe accadere. Significativa una frase dello stesso Cuffaro: i siciliani non possono permettersi di avere un presidente indagato per mafia. Un pensiero, quello delle dimissioni, che ieri ha sfiorato lo stesso Cuffaro non appena ricevuto l’avviso di garanzia. Poi le telefonate di Berlusconi, Follini, Casini e Buttiglione gli hanno fatto cambiare idea. Intanto oggi è stato interrogato Domenico Miceli, ex assessore comunale di Palermo, il quale ha detto di non escludere che il boss Giuseppe Guttadauro parlasse con lui di affari e politica perché sapeva che le sue parole sarebbero state riferite al presidente della Regione, Salvatore Cuffaro. Miceli ha cercato di chiarire alcuni episodi contestatigli dall'accusa, in particolare il fatto che è indicato come la persona che i boss utilizzavano da tramite per far arrivare a Cuffaro «input» politici, ma ha smentito legami diretti fra Guttadauro e Cuffaro.