Notiziario di Mercoledì 13 Aprile 2005
Per due notti consecutive i carabinieri hanno controllato a Bagheria il sottosuolo delle strade attorno alla clinica dell'impreditore Michele Aiello, arrestato nel novembre 2003 per associazione mafiosa, alla ricerca di un tunnel che sarebbe stato utilizzato dal boss latitante Bernardo Provenzano. I militari hanno chiuso le strade e con un sofisticato georadar hanno setacciato la zona alla ricerca di questa struttura sotterranea che sarebbe stata realizzata partendo dalla clinica di Aiello. Quest'ultimo è indicato come il prestanome del padrino corleonese e attualmente è imputato nel processo alle talpe della Dda. Si tratterebbe di una via di fuga creata appositamente, diversi anni fa, per il vecchio padrino corleonese ricercato da 42 anni. Per tutta la notte i carabinieri e tecnici specializzati hanno lavorato sotto la pioggia. Il georadar ha evidenziato tracce di una struttura che vi sarebbe nel sottosuolo e che potrebbe essere il tunnel creato dalla clinica di Aiello per procurare una via di fuga. I risultati ottenuti saranno adesso esaminati dagli esperti. L'ipotesi investigativa, secondo quanto si apprende in ambienti giudiziari, sarebbe nata da una indicazione fornita da un collaboratore di giustizia, che avrebbe indicato la presenza nei sotterranei della clinica di Aiello di una via di fuga appositamente creata per Provenzano nel periodo in cui il boss corleonese sarebbe stato ospitato nella struttura sanitaria. L'indagine è collegata all'inchiesta sulle talpe alla Dda che vede coinvolte 13 persone fra cui l'imprenditore Michele Aiello e il maresciallo dei carabinieri del Ros, Giorgio Riolo, entrambi agli arresti domiciliari e sotto processo per mafia. E dal racconto di un pentito storico della mafia, Santino Di Matteo, il racconto di un delitto atroce: quello del capitano dei Carabinieri, Emanuele Basile, ucciso a Monreale il 4 maggio del 1980. Ad operare un commando di 4 sicari composto tra gli altri da Giovanni Brusca, che secondo il racconto del pentito, avrebbe abbandonato i suoi uomini dopo l'omicidio. Secondo Di Matteo, il pentito, all'epoca ventitreenne, aveva funzioni di appoggio al commando, ma invece di attendere i killer, fuggì in auto e li lasciò per strada, senza alcun appoggio. I tre furono arrestati subito dopo, quasi nell'immediatezza dei fatti.