Notiziario di Mercoledì 11 Febbraio 2004
La provincia di Agrigento, zona franca della mafia. Per anni qui hanno trascorso la loro latitanza pericolosi boss del calibro di Bernardo Provenzano e Giovanni Brusca, arrestato nel 96 in un villino di Cannatello assieme al fratello Enzo e alle loro rispettive famiglie. E proprio qui, per sette lunghi mesi, è stato tenuto in ostaggio il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio undicenne del pentito Mario Santo, sequestrato, strangolato e sciolto nell'acido. Al di là della vicenda giudiziaria, è questo uno degli elementi che salta più in evidenza. Mi sentivo sicuro, Agrigento è una zona tranquilla, aveva detto Brusca subito dopo la sua cattura. Lo avevo constatato a proposito del sequestro Di Matteo: il piccolo venne tenuto prigioniero qui e non abbiamo avuto problemi. Questo grazie alla rete di fiancheggiatori, come ha potuto accertare l'inchiesta sfociata oggi nell'emissione di otto ordini di custodia cautelare. Gente anche insospettabile. Quello del piccolo Di Matteo è stato senza dubbio uno dei delitti più raccapriccianti della storia della mafia. Un bambino con tanta voglia di vivere, la cui vita, però, per i macellai di Cosa Nostra, non ha avuto alcun valore. Giuseppe viene sequestrato la sera del 23 novembre 1993, da alcuni uomini travestiti da poliziotti. Il piccolo pochi giorni dopo viene portato ad Agrigento, a Favara, in una villetta. Poi a Cannatello, nella stessa casa dove viene arrestato Bruca. A turno gli uomini d'onore di Porto Empedocle e Agrigento si alternano nella custodia del ragazzo. Gli portavamo da mangiare e qualche giornalino, dirà Luigi Putrone. Era convinto che noi fossimo dei poliziotti. Dopo Cannatello il piccolo viene portato a San Giovanni Gemini, in un'azienda agricola e poi a San Giuseppe Jato.